Il senso più alto dell'istituzione, la ragione democratica di una nazione, la coscienza critica di un uomo, l'onestà intellettuale del politico.
Enrico Berlinguer era un UOMO di coscienza; la politica non può prescindere dalla coscienza quale consapevolezza dell'onestà e conoscenza degli altri.
Berlinguer lo aveva capito giovanissimo, allorquando la fame portò i più a "saccheggiare" i forni per nutrirsi con un tozzo di pane ed egli, nell'occasione, fu accusato di istigazione.
Se una comunità ha fame significa che la politica "non funziona" e che la predetta comunità è dimenticata da chi ha il dovere di "fare politica" per tutti e non per pochi.
Il pane e' ed era un diritto di tutti e non di alcuni; focalizzare la tutela di diritti comuni solo su alcuni (e non su tutti) significa "estorcerne" qualche voto.
Il pane dato a pochi non è politica ma è infima azione di politicanti beceri che definiscono il loro serbatoio di voto a discapito dei più, speculando sul bisogno di chi ha diritto al pane: il pane non è un favore del politicante ma un diritto di cittadinanza democratica.
Enrico Berlinguer era uno strenuo difensore del giusto, del merito, dei diritti e dei doveri tant'è che, accortosi di un "uso improprio" della "cosa pubblica", sollevò - per primo - la questione morale.
La politica aveva "perso" il fine nobile della cura dell'interesse generale per soddisfare interessi particolari, lobbistici, di pochi o per utilizzare il bisogno dei molti quale tornaconto (proprio come accade oggi!!).
Questa era la politica che Enrico Berlinguer invitava a uscire dalle istituzioni, a lasciare le istituzioni, per preservare lo spirito democratico della nazione: l'anima del popolo.
Il popolo, per Enrico, era e doveva essere tutto.
Il popolo nella sua interezza, senza figli e figliastri, doveva essere (e dovrebbe essere) la ragione della politica perché la politica esisteva (ed esiste) per il popolo.
Berlinguer anelava alla purezza di governo, quella purezza che è "fare per tutti", essere per tutti, quella purezza che è solidarietà nazionale, solidarietà di comunità, solidarietà tra uomini, perché ognuno e' responsabile di se stesso e del prossimo.
Ecco perché, Enrico, incontrò un altro UOMO della politica, coscienzioso e responsabile, Aldo Moro.
Due UOMINI dall'alto valore etico che, pur di colori partitici diversi, si schierarono col popolo perché il popolo non è colore partitico, bensì comunità che necessita di azioni governative favorevoli affinché il benessere sia comune.
Si gridò, per la prima volta, al compromesso storico.
Non era un'arma letale ma voleva essere una comunione di istanze di sana politica in favore della nazione: una progettualità di riforme sociali ed economiche avvertite come necessarie e indispensabili dai leader delle più grandi forze politiche nazionali.
Enrico credeva, fermamente, nelle istituzioni perché queste erano l'avamposto della legalità, della democrazia, tant'è che non gradiva imperativi partitici condizionanti il sano operare dell'istituzione in quanto tale.
L'istituzione era la difesa più strenua del popolo e non doveva abbandonare il popolo. Difatti, si scostò finanche dalla linea sovietica - abolendo l'obbligatorietà per le giovani leve comuniste di "passare" dalla formazione URSS, criticando le invasioni dell'armata rossa e tanto altro ancora - perché le istituzioni non erano proprietà privata dei partiti, bensì il bene supremo della democrazia che non si deve e non si può identificare in individualità politiche.
Il politico e' solo uno strumento, un veicolo, per la realizzazione delle istanze del popolo che non significa "a te dono perché mi voti o a te faccio il favore di..." ma significa elaborare una progettualità di sostegno per tutti, mediante competenze e attitudini.
"Casualmente", questo fare "prodigo" di democrazia e coscienza portò a degli eventi drammatici per Moro (rapito e ucciso dalle brigate rosse) e non meno drammatici per Berlinguer (patì, dapprima, un "incidente-attentato" a Sofia ove fu investito da un camion militare nel periodo della sua linea critica avverso l'URSS e, successivamente, sopraggiunse la "morte" nel corso di un sentito comizio in quel di Padova ove gridava, con intensità e determinazione, al rinnovamento necessario per cambiare e migliorare perché se si sta tra il popolo non si può dimenticare il popolo!).
Enrico morì tra quel popolo che era sempre stato al centro del suo cuore e per il quale, anche, il cuore aveva ceduto.
Critico', duramente, le BR e assunse un atteggiamento di ferma condanna perché - uccidendo - si negava la via del dialogo, quel dialogo tanto auspicato da Berlinguer e da Moro, ancor prima che divenisse pretesto di eversione, quel dialogo che, certamente, era mancato ma poteva essere recuperato con un'operazione di conversione democratica.
Enrico Berlinguer non era l'uomo del comunismo; Enrico Berlinguer era il comunismo dell'uomo cioè quella comunione di emozioni, intenti, parole, pensieri, riflessioni, critiche, necessaria per risollevare le sorti di un'Italia desiderosa di riscatto.
Enrico Berlinguer era il popolo, era strenuo difensore del popolo, quel popolo - oggi - bistrattato.
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