martedì 22 luglio 2014

Lacrime di Antonio Belsito

Tutto comincia così.

Un urlo strenuo e un vagito rauco.
Un pianto, anzi, due pianti.
Poi, piangono tutti i presenti.
Una pancia, ancora ovale, e uno “scricciolo” sopra che affonda nella morbidezza materna.
Lacrime d’emozione anche per gli estranei.
Poi, ti ritrovi a piangere perché, mentre cammini a gattoni, vorresti alzarti, inerpicarti lungo una sedia, ma cadi.
Ancora cadi.
Piangi quando i tuoi ti dicono “chiudi gli occhi” – e tu non capisci – “apri gli occhi” e ti ritrovi davanti al primo giocattolo.
Diventa il primo amico, compagno di giochi.
Piangi quando rimani dai nonni o con la babysitter perché i genitori mancano e, allora, si cerca la loro presenza in quel giocattolo.
Là, ci sono i loro sguardi.

Piangi.

Piangi quando tornano, mentre corri “senza freno” verso la porta perché ne hai sentito, a malapena, le voci.
Non capisci perché ti ritrovi in una stanza con tanti altri bambini come te, seduti, mentre vesti un grembiule che ti costringe.

Piangi.

Senti urlare, per la prima volta, i tuoi e quelle urla non ti sanno come i sorrisi che hai conosciuto nel ricevere il giocattolo e piangi.
Poi, i tuoi cercano di spiegarti o di spiegarsi oppure non spiegano proprio e giunge una strana sensazione di stretta al cuore. 

Si piange.

Arrivano i libri, i compiti, si susseguono diari e penne, note e annotazioni.
Si “stecca” a qualche interrogazione, si litiga col compagno di banco, si corre verso casa perché a scuola ci si è sentiti un po’ soli.

Pianti.

Sono sguardi che inseguono rossori o rossori che colorano sguardi: “è quella della III E…mi piace da morire!!” – esclami nel seguirla senza farti accorgere.
A un tratto, lei si gira, tu ti mummifichi, lei si avvicina, tu cerchi di allontanarti ed è un bacio.
Non riesci neanche a guardarla negli occhi e corri fuori dalla scuola per allontanarti il più possibile.
Il cuore non vuole fermarsi, mentre pensi quanto sarà difficile - l’indomani - ritrovarne lo sguardo.
Comunque, cerchi il suo bacio, scorrendo con la mano sulla tua guancia e ti emozioni. 

Lacrime.

Lacrime, anche, quando un giorno di pioggia – uscendo da scuola – il papà del tuo compagno di banco ti dice “se fossi arrivato prima, ti avrei accompagnato a casa, ora sono pieno!” e tu – boccheggiando nella pioggia copiosa – cammini a testa bassa lungo il marciapiede, rasentando i muri.
Piangi perché vorresti raggiungere i tuoi amici al mare o vorresti che venissero loro a casa.
Sono foto, scritte alla lavagna, baci e abbracci: si è maturandi e si ha paura della felicità di diplomarsi.

Sono lacrime congiunte.

Ti fermi, apri la finestra, e il tuo sguardo si perde nel cielo azzurro.
Torni, stai per chiudere la finestra, e il tuo sguardo si perde tra stelle sorridenti.
Ti butti sul letto e sono occhi lucidi.

Piangi e quelle lacrime ti riempiono.


(Copyright 2014)

mercoledì 16 luglio 2014

Lasciami stare ancora un pò... di Antonio Belsito



Lasciami stare ancora un po'
in questo letto stropicciato
di carezze,
in questo letto profumato
di sguardi,
in questo letto permeato
di noi.

Lasciami sentire ancora un po'.

E' dolce schiudersi di mattine
al desiderio delle sere
e si torna 
come fosse estate 
nell'intensità delle mareggiate
e sorprende l'autunno 
di foglie lievi 
come cascate 
e svanisce la paura dell'inverno.

E' di nuovo primavera.

(Copyright 2014)

venerdì 4 luglio 2014

"Sventrati" di Antonio Belsito






 A tutti i popoli sofferenti e soggiogati (menzionati alcuni solo per brevità).


Una strada di nero catrame o, forse, sterrata dalla guerra. 
Un cielo azzurro o, forse, grigio di fumo d'armi. 
Un semaforo, a penzoloni, che segna il verde e il rosso; l'arancione e' un foro di bazooka. 
Un negozio all'angolo che sa di fame. 
Un gatto grigio arruffato e un cane secco. 
Una pietra che si ferma ai piedi di un bambino. 
Due occhi abituati all'angoscia delle "imboscate", così come al lancio di un missile o di una granata. 
Due braccia esili e due gambe deboli. 
Ai piedi un pezzo di suola colorata. 

L'abitudine non è più preoccupazione ma, semplice e forzata, convivenza. 

E' un bambino che percorre la solita strada per raggiungere casa dei nonni o, forse, ritrovarsi con gli amici. 
Si china per prendere la pietra e riporla in tasca; mentre alza gli occhi, anzi gli occhioni, esplodono colpi di mortaio a raffica. 

Sventrato. 

Forse, restano solo le pupille che riflettono il cielo. 

Quel bambino palestinese o israeliano, senegalese o cubano, russo o ucraino, libanese o afgano, venezuelano o siriano, turco o coreano, aveva già percorso quella strada e aveva più volte raccolto quella pietra per portarla a casa e restituirla alla terra attraverso un fosso. 
Sapeva che le pietre appartengono alla terra e non agli uomini ma sapeva pure che quelle pietre avevano sfregiato altri bambini mentre uscivano da scuola o passeggiavano per strada. 

Ecco, perché aveva deciso di seppellire ogni pietra.



(Copyright 2014)