domenica 26 giugno 2016

E S S E R C I . . . di Antonio Belsito

Che poi non è facile lasciarsi e ricongiungersi. Scappare e tornare. 
Esserci. Che poi sta tutto in un abbraccio...nella spontaneità più vera di un INSIEME. 

Insieme significa non divisi, insieme significa uniti ma non sommati. Non uno più uno ma l'uno con l'altro. Non siamo addendi da risultato ma siamo cuori da palpito, da sussulto, da fremito. E' quella sensazione che ci stringe il petto, che non ci fa dormire, che ci da magone, che ci ruba le parole.

Fermi: INSIEME.

E, allora, correre senza fermarsi mai con un verso e una direzione perché abbiamo bisogno di un verso e di una direzione, perché il verso e la direzione ci rendono più forti, più coraggiosi, più noi.
Non è una salita o una discesa o una strada sterrata a farci paura ma è percorrere quella salita, discesa o strada sterrata senza occhi.
"Ma hai due occhi pure troppo grandi" - mi dice , ridendo a crepapelle, Michele - "non ti bastano?". Certo che mi bastano i miei occhi ma non sono sufficienti per vedere tutto. Abbiamo bisogno dell'oltre i nostri occhi che sono anche gli altri...ma che poi - gli altri - diventano, spesso, uno slogan, una pubblicità, un marketing, come dire "il prossimo"! Ma non avanti il prossimo perché tu sei fuori...avanti il prossimo perché tu sei dentro con lui o con lei.

Essere dentro. Esserci.

Quanti di voi si sentono dentro?
Qualcuno ride, qualcun'altro sorride, qualcun'altro ancora mugugna, qualcun'altro ironizza.
"Dentro??? Ahhhhhhhhh!".
Dentro, sì.
Spesso, siamo fuori...


FUORIII!

E cerchiamo e non ci bastiamo e tremiamo e ci perdiamo e non ci riconosciamo e non sappiamo e poi non conosciamo e poi ancora che ci diciamo e saltiamo, scappiamo, ci arrabbiamoooooo!
Nooooo...non sbagliamo...sfoghiamo...e facciamo pure bene perché ci raccontiamo...perché se non raccontiamo a noi...a chi dovremmo raccontare? 

Esistiamo.

Scorriamo tra paure e beffe, tra coraggio e sincerità, tra amore e slealtà, tra tristezza e lealtà, tra odio e...e tanto altro che ci sbatte addosso , a volte, come pietre, altre, come sole. 

Arduo, difficile, impossibile.
Facile, agevole, possibile.

Non conta aggettivare. Conta camminare, rovistare su questa terra, cercare senza mai fermare il passo. Un passo dopo l'altro. Si alza la polvere ma si fanno pure i muscoli. I muscoli sì...conoscete i muscoli? Non solo quelli da body building o da karatè o da pugilato ma anche quelli stesi a guardare il cielo o sulla punta dei piedi a voler acchiappare la luna o tesi ad attendere.
"Che poi attendere...che senso ha?" - dice Anna. 
"E' tutto finito!" - afferma con spigolosa determinazione - "finito".
Nulla è mai finito finché riusciamo a gridare, a piangere, a battere i pugni, a sentire tachicardia, a sudare, a serrare i denti, a pensare, a ragionare.
"Hai ragione, forse..." - grida Luca - "...perché non si può rinunciare all'entusiasmo di essere e di esserci, al sapore della vita, all'incanto di ogni momento. Non si può rinunciare. Allora, bisogna correre come locomotive verso il poco che di bello accade, verso i pochi che di vero si incontrano, verso una meta che c'è, nonostante tutto. Bisogna cambiare verso e direzione...non siamo soli e anche se lo fossimo...soli si può ancora ballare...


(Copyright2016)

domenica 12 giugno 2016

Foschia di Antonio Belsito


Sono affacciato. 
La finestra è di quelle piccole, posta immediatamente sotto il tetto (basta allungare il braccio per toccare le tegole). 

"Sembra un quadro" - mi grida Micael da sotto, mentre sta attraversando la viuzza che costeggia la casetta. 

"Sembra un quadro" - sussurro, ripetendo quelle parole. 

Micael ha già svoltato verso il vico e non lo vedo più. 

La casa è stata costruita negli anni '30. 
Mi hanno raccontato che, proprio mentre si lavorava ad alzarla, passavano militari con divise sporche e facce provate. Ma si continuava a lavorare senza distogliere lo sguardo. 
Sono tutte pietre incastrate e sovrapposte con maestria, portate con un asino ("U ciucciu") dalle campagne vicine. Pietre di fatica e sudore, spaccate una a una secondo geometrie compiute. 

"Lavoravano senza niente" - mi dice, mentre sono ancora affacciato, zia Nietta (una vicina di quasi novanta anni che porta il peso della vita sul suo corpo curvo ma che dispensa la bellezza di esserci attraverso un sorriso ancora giovane) - "avevano pure le mani scoperte e si affinava la pelle col crescere della casa". 
Zia Nietta procede come fosse una "lumachina", osservando intorno ogni cosa, ogni persona. Si ferma pure Zia nietta, di tanto in tanto, e alza la testa verso il cielo; si ferma, sì. Sussurra qualche parola e riprende a camminare. 

Intanto, scorro con le mani sul legno gonfio e ruvido della finestra...si sente il tempo. Mi fermo. 

Ora, fisso l'orizzonte: la foschia "copre" il solito meraviglioso panorama. Non intravedo le isole, il vulcano; eppure, solitamente, vi si stagliano, divenendo scenografia di quella distesa marina che, congiuntamente al cielo, sorprende la vita. 

"Bah!" - esclamo.

Foschia.

"La vedo, c'è, ma copre solo e non cancella la bellezza che
nasconde".

(Copyright2016)