Sono affacciato.
La finestra è di quelle piccole, posta immediatamente sotto il tetto (basta allungare il braccio per toccare le tegole).
"Sembra un quadro" - mi grida Micael da sotto, mentre sta attraversando la viuzza che costeggia la casetta.
"Sembra un quadro" - sussurro, ripetendo quelle parole.
Micael ha già svoltato verso il vico e non lo vedo più.
La casa è stata costruita negli anni '30.
Mi hanno raccontato che, proprio mentre si lavorava ad alzarla, passavano militari con divise sporche e facce provate. Ma si continuava a lavorare senza distogliere lo sguardo.
Sono tutte pietre incastrate e sovrapposte con maestria, portate con un asino ("U ciucciu") dalle campagne vicine. Pietre di fatica e sudore, spaccate una a una secondo geometrie compiute.
"Lavoravano senza niente" - mi dice, mentre sono ancora affacciato, zia Nietta (una vicina di quasi novanta anni che porta il peso della vita sul suo corpo curvo ma che dispensa la bellezza di esserci attraverso un sorriso ancora giovane) - "avevano pure le mani scoperte e si affinava la pelle col crescere della casa".
Zia Nietta procede come fosse una "lumachina", osservando intorno ogni cosa, ogni persona. Si ferma pure Zia nietta, di tanto in tanto, e alza la testa verso il cielo; si ferma, sì. Sussurra qualche parola e riprende a camminare.
Intanto, scorro con le mani sul legno gonfio e ruvido della finestra...si sente il tempo. Mi fermo.
Ora, fisso l'orizzonte: la foschia "copre" il solito meraviglioso panorama. Non intravedo le isole, il vulcano; eppure, solitamente, vi si stagliano, divenendo scenografia di quella distesa marina che, congiuntamente al cielo, sorprende la vita.
"Bah!" - esclamo.
Foschia.
"La vedo, c'è, ma copre solo e non cancella la bellezza che
nasconde".
(Copyright2016)
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