venerdì 4 luglio 2014

"Sventrati" di Antonio Belsito






 A tutti i popoli sofferenti e soggiogati (menzionati alcuni solo per brevità).


Una strada di nero catrame o, forse, sterrata dalla guerra. 
Un cielo azzurro o, forse, grigio di fumo d'armi. 
Un semaforo, a penzoloni, che segna il verde e il rosso; l'arancione e' un foro di bazooka. 
Un negozio all'angolo che sa di fame. 
Un gatto grigio arruffato e un cane secco. 
Una pietra che si ferma ai piedi di un bambino. 
Due occhi abituati all'angoscia delle "imboscate", così come al lancio di un missile o di una granata. 
Due braccia esili e due gambe deboli. 
Ai piedi un pezzo di suola colorata. 

L'abitudine non è più preoccupazione ma, semplice e forzata, convivenza. 

E' un bambino che percorre la solita strada per raggiungere casa dei nonni o, forse, ritrovarsi con gli amici. 
Si china per prendere la pietra e riporla in tasca; mentre alza gli occhi, anzi gli occhioni, esplodono colpi di mortaio a raffica. 

Sventrato. 

Forse, restano solo le pupille che riflettono il cielo. 

Quel bambino palestinese o israeliano, senegalese o cubano, russo o ucraino, libanese o afgano, venezuelano o siriano, turco o coreano, aveva già percorso quella strada e aveva più volte raccolto quella pietra per portarla a casa e restituirla alla terra attraverso un fosso. 
Sapeva che le pietre appartengono alla terra e non agli uomini ma sapeva pure che quelle pietre avevano sfregiato altri bambini mentre uscivano da scuola o passeggiavano per strada. 

Ecco, perché aveva deciso di seppellire ogni pietra.



(Copyright 2014)

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