martedì 2 settembre 2014

Giuramento di Ippocrate di Antonio Belsito



Si giura per suggellare quella vocazione interiore che non è, semplicemente, competenza professionale ma, soprattutto, espressione spirituale.
C’è dello spirito, c’è dell’animanell'operosità di un medico perché le mani accolgono il dolore altrui, perché le mani toccano la sofferenza altrui, perché le mani accarezzano, anche, la morte altrui.
Ci sono pazienti che sono persone, sono uomini, sono anime e non possono e non potranno mai essere semplici numeri.
Ci sono occhi che guardano con speranza, ci sono occhi che guardano con abbattimento, ci sono occhi che guardano e sono lacrime.

Ci sono cuori.

La prontezza di un medico dovrebbe essere pari alla necessità di un paziente: sono istanti in cui si stringono delle mani, ci si guarda, e si scopre quel patimento fisico che dovrebbe divenire condivisione.

Condivisione, si.

Medico e paziente dovrebbero diventare un tutt'uno: i dolori dell’uno sono le preoccupazioni dell’altro, la sofferenza dell’uno è la premura dell’altro, i timori dell’uno sono le ansie dell’altro.

Ci si incolla.

Il paziente dovrebbe custodire in sé la forza del medico e il medico dovrebbe custodire in sé gli occhi del paziente.

Sono istanti in cui i cuori battono all'unisono per la vita.

Ci sono neonati e si attende che emettano il primo grido perché respirino l’esistenza.
Ci sono bambini e si cerca di interpretarne i sintomi attraverso un sorriso e una trovata goliardica.
Ci sono adolescenti e si cerca di capirne il problema tra singhiozzi d’insicurezza e sussulti d’impulsività adulta.
Ci sono adulti, anziani, vecchi che guardano, recando con sé il ricordo di una vita e stringono i pugni nella consapevolezza delle parole.
Ci sono mamme e papà che vorrebbero continuare ad abbracciare i figli.
Ci sono nonni che vorrebbero continuare a stringere i nipoti.
Ci sono figli che vorrebbero, ancora, dare la buonanotte ai genitori.

Ci sono vite.

Vite.

Allora, ogni battito è un istante da non perdere: bisogna correre con la mente e col cuore, bisogna correre tra anamnesi, diagnosi e terapie, bisogna sentire il magone in gola.
Bisogna correre con le gambe e con le braccia, tra parenti e astanti, col sole in sala operatoria o con la pioggia tra i reparti, bisogna correre perché ogni battito è una rincorsa che potrebbe far continuare una vita.

Sono strette allo stomaco.
Sono apnee.
Sono pugni battuti su tavoli operatori o su letti di degenza.
Sono parole tremule.
Sono pupille che si dilatano e denti che si stringono.
Sono probabilità.
Sono certezze.
Sono colori che sfuggono e che ritornano.
Sono emergenze.

Uomini.

Uomini.

Come si fa a sfuggire a un grido di dolore?
Come si fa a raggirare occhi sofferenti?
Come si fa a camuffare le parole?
Come si fa a non sentire e come si fa a non vedere?

Giuro è il grido del paziente;
giuro è l’ansia del medico;
giuro è la sofferenza del paziente;
giuro è il coraggio del medico;
giuro è la paura del paziente;
giuro è la premura del medico;
giuro sono mani che si stringono, occhi che si abbracciano, vite che si donano.
Giuro sono neonati, bambini, adulti, anziani, vecchi, mamme, papà, figli.

Giuro.

(Copyright 2014)


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