giovedì 23 febbraio 2017

Non c'è una regola di Antonio Belsito

Non c'è una regola.
È tutta una “combriccola”,
un disegnare , con un dito, il cielo,
un inseguire, con gli occhi, un aquilone,
un inciampare e conoscere la paura
per imparare a trovare, poi, il coraggio di rialzarsi.
E si inizia a capire. 
E si inizia a ragionare.
E si inizia fino a quando non si vuol più ragionare.
Non c'è una regola
per perdersi tra le stelle
o per ascoltare il mare
o per stare, soli, con la fronte poggiata alla finestra 
per, poi, aprir le braccia
e simulare la libertà di un gabbiano.
No! Non c'è una regola
per piangere forte (ma forte)
contro l'amore
e, quasi nell'immediatezza,
abbracciarne il favore.
Inviarsi un "vaffanculo",
trascinarsi dopo un pugno,
accasciarsi per una morte,
"pagare" con la vita.
Non c'è una regola
per capire che non ci sono eroi 
 (o che non dovrebbero esserci degli eroi)
ma solo uomini e altri uomini
che si dicono 
e, poi, si chiamano
che sia Repubblica
che sia Stato
che siano politici
che siano magistrati 
che siano funzionari
che siano associazioni
anche di mafie
pur di massoneria
oppure di sport.

U o m i n i !
Non c'è una regola
per guardarsi negli occhi
- finanche allo specchio
da soli o in compagnia -
e sentire l'ebbrezza della vita
che è solo un attimo.

Solo un attimo.
C a x x o.
(Copyright2017)

venerdì 10 febbraio 2017

Orquesta de Reciclados Cateura: la spazzatura che insegna l’AMORE di Antonio Belsito


Li avete guardati negli occhi?

Hanno colorato qualunque posto - ove si sono esibiti - di spontaneità, semplicità, verità.

Giovani che nascono nella spazzatura e fanno della spazzatura il più bel luogo.

Proprio così.

Perché si nasce nella spazzatura senza scegliere e ci si trova senza volerlo.

Quella spazzatura è l’emblema di un mondo in perenne conflitto che, nonostante guerre e genocidi, ancora discrimina.
Si discrimina, anche, tra stessi connazionali.
Si discrimina perché ci deve essere chi comanda e chi patisce.
Perché l’uomo è avido e non si sazia mai di sentirsi in potere di soggiogare altri uomini.

Quant'è bello decidere della vita degli altri?

Ci si sente degli dei e si comanda il mondo, creando il bisogno.
Se non si induce al bisogno, se si risolve il bisogno, nessuno può comandare nessuno.
E il comando, in questa società, rende taluni uomini più uomini che senza comando non sarebbero nulla e niente.

La spazzatura.

E proprio la spazzatura è l’inizio di quel risorgimento che per molti è rimasto solo un argomento da sfogliare  sui libri di scuola.

Avete sentito l’umanità dei suoni emessi dagli strumenti creati con la spazzatura?
Avete visto l’intensità degli occhi che rendono arcobaleno la spazzatura?
Avete visto la spazzatura?

Loro, questi ragazzi, questi UOMINI, queste perle, hanno reso una discarica il luogo migliore del mondo con il loro CUORE stravolgente, hanno trasformato la puzza (lezzo) in profumo, hanno fatto ballare finanche i topi, guidati dal maestro Favio Chavez, semplice tecnico ambientale e musicista.

Tubi, forchette, lastre, contenitori, buste, scarti…tutto ciò ha iniziato a prender vita, ad animarsi, in ragione dell’essere di questi UOMINI che hanno inteso suonare quella spazzatura, vista con gli occhi dell’AMORE.

Sessanta musicisti che hanno reso una discarica…paradiso.

Sessanta musicisti che sono stati accolti dall’UNICEF per le loro anime.

Sessanta musicisti che mantengono la loro comunità e le loro famiglie, convertendo la spazzatura in forza di vita e di vivere.

Sessanta musicisti che hanno detto “NO” ad una società americana - che voleva acquistare (dopo averne saggiato il successo efficace!) il brevetto della costruzione dei loro strumenti con la spazzatura - perché la spazzatura è anima e, ora, amore.

Avete visto più uomini accumulare spazzatura e rendere spazzatura la società o più uomini vivere nella spazzatura(perché costretti), rendendola il luogo più bello e sicuro ?

Questa è la spazzatura che insegna l’AMORE, quello vero però.

Rispetto.

E silenzio, ora.

E' l'orchestra che suona.






(Copyright2017)

domenica 5 febbraio 2017

Ai 600 professori universitari: è "giusto" conoscere l'italiano ma...di Antonio Belsito




È giusto che i professori universitari pretendano la conoscenza della lingua italiana da studenti propensi a conseguire un titolo accademico-universitario tra i più prestigiosi, se non il più prestigioso, a livello nazionale. 

È ragionevole esigere che un laureando conosca la lingua ufficiale della Repubblica in nome della quale viene conferito il titolo di studio.

È coerente che dei professori accademici si inaspriscano e scrivano, addirittura, al Parlamento e al Governo per esprimere il loro rammarico e la loro preoccupazione per le sorti della lingua italiana, "precariamente" conosciuta da futuri dottori della Repubblica.

È giusto che ogni cittadino, soprattutto se orientato a conseguire un titolo specializzante e professionalizzante, abbia contezza delle regole della lingua italiana.

Però, credo sia, altrettanto, giusto che gli stessi professori - lamentando, con legittima e umana premura, la "scarsa conoscenza" della lingua suddetta, quale monito a migliorare il patrimonio umano/culturale dei futuri laureati italiani - siano, altrettanto, premurosi nel riconoscere la "scarsità" che tante e nuove facoltà offrono, a titolo conseguito, sul mercato del lavoro.


Si vuol dire: mai una riflessione è stata approntata, con tal piglio, contro le facoltà "sterili" che - a fronte di tante cattedre funzionali alla "pedagogia" delle stesse facoltà - non offrono alcuna prospettiva occupazionale a titolo conseguito (se non agli stessi professori!).

Eppure, anche questa è una verità che tanti altri studenti - conoscitori della lingua italiana , laureandosi tempestivamente e a pieni voti - soffrono amaramente, pur avendo “seguito e reso” nella lingua ufficiale dello stato quanto appreso dai professori titolari di cattedre in facoltà, appunto, prive di risvolto occupazionale a titolo conseguito. 


Allora, è pur "giusto" capire il verso "giusto" per migliorare veramente.


Una lingua è (anche) coscienza.  

(Copyright2017)